Navajo Code Talkers

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    L'amico Deacon ci regala un bellissimo pezzo su una storia poco conosciuta riguardante le attività svolte dai pellerossa Navajo, nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
    Finita questa piccola premessa vi lascio alle foto e all'articolo!



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    Dopo il 7 Dicembre 1941, giorno in cui i bombardieri giapponesi attaccarono e distrussero la base americana di Pearl Harbor nel Pacifico, gli Stati Uniti d'America
    entrarono ufficialmente a far parte della Seconda Guerra Mondiale.
    In Europa, la Germania stava portando avanti la sua “guerra lampo” conquistando in breve tempo tutta l'Europa del Nord compresa la Francia, attaccando nel frattempo anche l'Unione Sovietica.
    Con l'entrata in guerra nello scenario del Pacifico, per le Forze Armate statunitensi si presentò ben presto una situazione complessa.
    Molti crittografi dell'esercito giapponese infatti, mostrarono una incredibile capacità
    nel decifrare i codici segreti di comunicazione americani e questo perchè, prima della guerra, molti operatori radio giapponesi avevano vissuto e lavorato negli Stati Uniti e quindi conoscevano bene la lingua inglese ed avevano familiarità anche con le espressioni linguistiche americane compresi i termini “slang” e perfino le parolacce ...
    Di conseguenza, i piani di battaglia americani venivano conosciuti quasi subito dal nemico, a volte ancora prima di diventare operativi ed il risultato di tutto questo significava, non solo il fallimento delle strategie militari pianificate, ma anche un alto numero di perdite fra i soldati americani.
    Era chiaro che l'esercito statunitense avrebbe dovuto trovare una rapida soluzione che
    risolvesse questo pressante problema.

    Fu in quel periodo che un ingegnere civile di mezza età, Philip Johnston che viveva a Los Angeles, aveva letto un articolo di giornale sui codici di sicurezza militare. Durante la prima guerra mondiale, egli aveva combattuto con le forze Usa in Francia e, anche se ora era troppo vecchio per combattere nella Seconda Guerra Mondiale, Johnston pensò che forse poteva dare una mano allo sforzo bellico in corso. Dall'età di 4 anni, aveva vissuto in una riserva indiana Navajo, dove i suoi genitori erano missionari protestanti, ed era di conseguenza cresciuto imparando la lingua navajo, parlata dagli altri bambini della riserva e suoi compagni di giochi. Ora, mentre leggeva quell'articolo di giornale, il concetto di un codice militare segreto basato sulla lingua Navajo, balenò nella sua mente.
    Fu così che, nel febbraio 1942, dopo aver formulato la sua idea all'Alto Comando Usa, Johnston si incontrò con il tenente colonnello James E.Jones del Signal Corps Communications Officer dei Marines, convincendolo che un codice segreto basato sulla lingua navajo non poteva in nessun modo essere compreso e quindi decifrato dal nemico. Il colonnello Jones, dopo aver ascoltato attentamente l'ipotesi di Johnston e dopo aver verificato la sua presentazione grafica, si convinse che valeva la pena effettuare un test.
    La fiducia di Johnston nella sua teoria consisteva nel fatto che la lingua navajo comprendeva una serie di parole che, se parlate con inflessioni diverse, potevano avere ben quattro significati completamente differenti.

    Le forme verbali Navajo infatti, sono particolarmente complesse e per la maggior parte degli ascoltatori, il linguaggio è praticamente incomprensibile. Inoltre, l'uso e la conoscenza della lingua Navajo era limitata quasi esclusivamente agli abitanti della riserva; pochi non-Navajo la parlavano o la capivano. Era un “linguaggio nascosto”, che non aveva un alfabeto o una forma scritta ben precisa per chi avesse voluto studiarlo.
    Tornato a Los Angeles, Johnston trascorse quasi due settimane alla ricerca di Navajos
    bilingue scelti fra la popolazione della loro riserva. Il 28 febbraio 1942, tornò dal colonnello Jones a Camp Elliott con quattro indiani Navajo, al fine di dimostrare la loro capacità linguistica anche di fronte ad un gruppo di scettici ufficiali di Stato Maggiore dei Marines. Alloggiati a coppie in tende separate, i primi due Navajo ricevettero un messaggio con un tipico ordine militare in usanza sui campi di battaglia da ritrasmettere nella loro lingua agli altri due Navajo che erano in ascolto.
    Quando il messaggio ricevuto dalla seconda coppia, ritradotto in inglese, si rivelò di una precisione assoluta rispetto all'ordine che era stato dato, gli ufficiali dei Marines rimasero stupiti dalla velocità e dalla precisione dell'interpretazione e quindi il test fu concluso con completo successo.
    Il generale Clayton Vogel, comandante di Camp Elliott, scrisse una lettera urgente al comandante del Corpo dei Marines a Washington DC, supportata da Johnston, nella quale descrisse l'esito della dimostrazione, sollecitando inoltre l'immediato arruolamento nei Marines di duecento giovani Navajos per istruirli a servire l'esercito come specialisti della comunicazione.
    Sia pure con notevole ritardo, il generale Vogel fu autorizzato da Washington reclutare subito 30 Navajos per la formazione di un progetto pilota.
    A metà Aprile del 1942, questi primi tenta giovani navajos, vennero richiamati dalla riserva e destinati a Camp Elliott. Questi, oltre a parlare correntemente la lingua navajo e quella inglese, dovevano anche essere fisicamente in forma per essere adatti anche come messaggeri in combattimento. Alcuni membri del gruppo erano minorenni, ma siccome il loro anno di nascita non era registrato negli archivi della riserva, fu facile per queste reclute mentire o dichiarare di avere qualche anno in più di quelli effettivi, per poter essere accettati e arruolati nei Marines.
    Per quasi tutti i Navajos infatti, viaggiare era una nuova esperienza. Alcuni non erano mai stati fuori dalla riserva e molti non erano mai saliti su un treno e su un autobus. La maggior parte di loro non aveva mai visto l'oceano e non potevano rendersi conto che avrebbero presto partecipato ad una terribile e feroce guerra che si combatteva nel mezzo del Pacifico. Molte famiglie di queste giovani reclute insistettero ed ottennero che, prima di partire, i loro figli avrebbero dovuto partecipare ad una cerimonia religiosa come da loro tradizione: recitare una preghiera propiziatoria per i ritorno a casa dei loro giovani uomini.

    Il Navajos quindi partirono per la formazione di base presso il San Diego Marine Corps Recruit Depot ed il loro gruppo fu chiamato “La scuola Navajo”-

    A seguito della loro formazione di base, i Marines Navajo, furono destinati a Camp Pendleton a Oceanside in California. Qui i Navajo impararono a marciare in cadenza, ad obbedire agli ordini e a mantenere i loro alloggi scrupolosamente puliti, compiti nei quali risultarono fra i migliori del reparto.
    A Camp Pendleton i Navajo, in aggiunta ai loro compiti, erano tenuti ad elaborare un nuovo codice militare che, se trasmesso nella loro lingua, sarebbe servito a confondere completamente i nemici giapponesi. Le parole del codice dovevano essere brevi, facili da imparare e veloci da ricordare. Dopo aver lavorato a lungo e duramente al progetto, i Navajo elaborarono un codice in due parti. La prima parte di 26 lettere di alfabeto fonetico ed una seconda parte di 211 parole del vocabolario inglese ed altrettante equivalenti in Navajo. Questo codice, rispetto ai tradizionali codici del Corpo dei Marines, offrì un notevole risparmio di tempo dal momento che queste nuove reclute indiane furono coinvolte durante la codifica e la procedura di decifrazione dal Signal Corps, il personale di crittografia che utilizzava sofisticate apparecchiature elettroniche.
    E quini, superata la diffidenza iniziale, gli alti ufficiali dei Marines, si resero conto che i soldati Navajo avevano dimostrato completa affidabilità sia nel percorso di formazione come radiotelegrafisti, sia nel percorso di addestramento.

    Molti Navajos rimasero successivamente in California come istruttori e due divennero reclutatori. Il resto del gruppo originale, nell'agosto del 1942, fu inviato a combattere in prima linea, sotto il comando del maggiore generale Alexander Vandegrift, a Guadalcanal.
    Il generale rimase talmente impressionato dall'efficacia dei “Code Talkers” Navajo (parlatori in codice) che richiese al comando di Washington ulteriori 83 Navajos da assegnare alla sua Divisione, per poterli impegnare nella campagna di Guadalcanal entro il dicembre di quell'anno.
    Un anno dopo, nell'agosto del 1943, altri duecento giovani Navajos si erano formati come “code talkers” ed il sergente responsabile era proprio il “fuoriquota” Philip Johnston:
    Anche in combattimento nella jungla del Pacifico, il reparto dei Navajos dimostrò “innata ingegnosità”, capacità di organizzazione, abitudine allo stile di vita spartano della prima linea e grande abilità nell'affrontare le difficoltà in battaglia.
    Alla vigilia della partenza dell 1° Divisione Marine per l'isola di Okinawa, che sarebbe diventata il più sanguinoso sbarco di guerra nel Pacifico, i soldati Navajo eseguirono una danza sacra cerimoniale al fine di invocare la benedizione e la protezione del Grande Spirito, per se stessi e per i loro compagni americani.
    Pregavano affinchè la resistenza dei loro nemici potesse rivelarsi debole ed inefficace. Alcuni dei loro compagni americani, che stavano in piedi in disparte a guardare la cerimonia, li prendevano in giro per quello strano rituale. Quando però fu portato a termine lo sbarco, anche Ernie Pyle, famoso corrispondente di guerra che riportò in seguito questa storia, osservò che gli sbarchi sulla spiaggia di Okinawa si rivelarono sorprendentemente più facili del previsto ed annotò che molti navajos non mancarono di far notare questo con orgoglio ai compagni del loro reparto.

    Alla fine i “code talkers” Navajo combatterono in tutte e sei le Divisioni Marines nel Pacifico. L'apprezzamento per il loro lavoro e capacità divenne sempre più crescente, al punto chi soldati Navajo vennero utilizzati in importanti attacchi in molte isole del Pacifico, quali Salomone, Marianne, Peleliu e Iwo Jima.
    Commentando il successo della battaglia di Iwo Jima, il maggiore Howard Conner del 5° Signal Officer della 1° Divisione Marines, disse: “L'intera operazione è stata supportata dai codici Navajo … durante i due giorni seguenti allo sbarco iniziale, abbiamo avuto sei reti radio Navajo che lavoravano tutto il giorno. Hanno trasmesso e ricevuto oltre 800 messaggi senza un errore. Se non fosse stato per il codice dei Navajo, i Marines americani non avrebbero mai preso Iwo Jima.”

    Ma fu solo a guerra finita, quasi 25 anni dopo, nel giugno 1969 a Chicago, che i vertici militari della 1° Divisione Marines, resero omaggio ai parlatori in codice navajo con una storica manifestazione. Per l'occasione fu coniato un medaglione commemorativo in bronzo, in ricordo dei loro servigi resi all'esercito statunitense, che fu consegnato a ciascun gruppo di veterani “code talkers” intervenuti a Chicago per l'occasione. Per dimostrare la propria gratitudine, il Comando della 1° Divisione Marines, fece sfilare i Navajo sulla Michigan Avenue vestiti con i loro sontuosi costumi ed insegne tribali tradizionali.
    Ai reduci Navajo fu anche consegnato un certificato di riconoscimento da parte del Parlamento Usa, nel quale il Governo li ringraziava per il loro “patriottismo, intraprendenza e coraggio”. Quei coraggiosi soldati Navajos avevano dato al Corpo dei Marines il loro decisivo contributo con un mezzo di comunicazione infallibile, il codice Navajo, salvando migliaia di vite di soldati americani durante la guerra nel Pacifico.


    (tradotto da: History.net)
     
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  2. Deacon
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    Grazie Enrico, troppo buono ! ;)
     
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    Di nulla! :) grazie a te!
     
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